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8 aprile 2014

Storia semiseria e disordinata della canzone italiana - Sanremo 1972: seconda serata

di Dario Cordovana



La seconda serata di Sanremo si apre con Gigliola Cinquetti che canta uno dei pezzi più brutti della storia del Festival. Non ce ne voglia Gigliola, brava cantante, ma “Gira l’amore (caro bebè)” probabilmente sarebbe stata rifiutata persino da Orietta Berti se gliel’avessero proposta. La Cinquetti probabilmente se ne accorgerà anche lei di avere esagerato e cercherà nei due anni seguenti di dare una sterzata al suo repertorio cercando pezzi di maggiore qualità. E alla fine chi se ne frega se “Gira l’amore” arriva comodamente in finale! Io al posto della Cinquetti mi sarei vergognato di doverla ricantare.
Archiviato questo scivolone in apertura Sanremo presenta Nicola Di Bari, asso pigliatutto delle ultime manifestazioni canore. La sua canzone è scritta da un giovane autore esordiente tal Dalmazio Masini, e in origine si doveva intitolare “Tredici anni”. Ora, visto che il pezzo non parlava esattamente di una ragazzina che gioca con le bambole, prevedendo i problemi con la censura si pensò di riintitolarla “Sedici anni”. Andò a finire che il titolo definitivo fu “I giorni dell’arcobaleno” e che diversi versi della canzone furono censurati … la storia di una ragazzina che faceva l’amore era troppo per quell’epoca. Così combinata però la canzone eseguita con la solita delicatezza da Nicola Di Bari piace e va in finale da favorita!
Rita Pavone si presenta al suo terzo Sanremo anche lei cresciuta. Mike Bongiorno nota come lei indossi “il suo primo lungo” e la sua canzone, “Amici mai”, sottolinea “magari amanti sì”. Oh bella, Gian Burrasca che parla di amanti! Il pubblico però resta freddo.
I Ricchi e Poveri invece, che la seguono, vanno alla ricerca di conferme. Sono reduci da due secondi posti: merito loro o dei cantanti a cui erano abbinati? “Un diadema di ciliegie”, sul tema dell’emigrante costretto a partire e lasciare affetti (quante ne sentiremo su questo tema in quegli anni!), è una discreta canzone con una parte centrale fatta per far risaltare le doti canore del quartetto e soprattutto di Angela Brambati. Per la finale può bastare.
Un altro col tema di quello che viene da fuori è Michele, che canta appunto “Forestiero”, canzone forse appesantita da un insistente coro femminile che ripete appunto “Forestiero, forestiero” fino allo sfinimento. Il finale è triste come quello della canzone: niente finale.
“La foresta selvaggia” di Marisa Sacchetto porta la firma di Paolo Limiti per il testo. Non basta a fare emergere la giovane cantante che ricorda in modo esagerato lo stile di Rosanna Fratello. Meglio, decisamente meglio Lara Saint Paul, finalmente con una canzone dal titolo chilometrico (“Se non fosse tra queste mie braccia lo inventerei”), ma adatta alle sue doti vocali. Sembra un pezzo americano e stavolta la mano di Bill Conti nell’arrangiamento si sente, eccome (ascoltate l’uso dei fiati!). Lara arriva in finale tra gli applausi del pubblico in sala.
Anche Milva deve imparare a correre da sola dopo i terzi posti del 1968 e del 1969 con due canzoni di Don Backy. “Mediterraneo” è buona quanto basta per arrivare in finale e nulla più. Ma chissà se ce l’avrebbe fatta se fosse finita nella molto più competitiva prima serata! Nelle due canzoni seguenti si rischia seriamente l’abbiocco. Né “L’uomo e il cane” di Fausto Leali, né “Rimpianto” di Bobby Solo possono infatti nutrire rimpianti (ahem …) per la loro esclusione dalla serata finale.
Apprezzato è invece Gianni Nazzaro. Elegante, ordinato, di bell’aspetto, la sua “Non voglio innamorarmi mai” ha tutte le carte in regola per piacere al pubblico femminile. Non lascia invece molte tracce la seconda e ultima partecipazione degli Aguaviva con “Ciao amico ciao”, canzone meno votata in assoluto delle due serate.
A questo punto, quasi arrivati alla fine, ecco l’esordio tanto atteso di Gianni Morandi. La sua “Vado a lavorare” in effetti non delude, è un pezzo che si sposa bene al personaggio. Il problema è che è forse proprio il personaggio Morandi a essere invecchiato. Gli anni settanta sono diversi dai sessanta e anche Morandi ha bisogno di rinnovarsi, e per lui non sarà un compito semplice.
Chiude la rassegna Angelica, una partecipazione al disco per l’estate 1970 alle spalle e la voce secondo la quale fosse stata a scuola compagna di banco di Anna Identici (sono comunque originarie dello stesso paese). Angelica presenta “Portami via” del maestro Mario Mellier che la dirige. La finale non arriva, Angelica si gode la magra consolazione di essere la prima tra gli esclusi della seconda serata. Ma la sua carriera non durerà.
In finale Nicola Di Bari trionfa ancora una volta e ancora una volta ad arrivare secondo è Peppino Gagliardi. Per due soli voti Nada soffia il terzo posto a Gianni Morandi. Ultimo Domenico Modugno… doveva dare “Un calcio alla città” e invece le giurie…

SE NON FOSSE TRA QUESTE MIE BRACCIA LO INVENTEREI
Lara Saint Paul


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