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21 novembre 2007

Storia semiseria e disordinata della canzone italiana da Sanremo in poi - Quinta puntata

di Dario



I big della canzone italiana nei primi anni sessanta erano loro:Gianni Morandi, Rita Pavone, Adriano Celentano con il suo clan (Ricky Gianco, Don Backy, Guidone, il nipote Gino Santercole – nipote di Celentano, non di Guidone) e Mina.

Guardando Celentano, soprattutto il Celentano dell’epoca che faceva impressione con i suoi movimenti scimmieschi, uno penserebbe di essere allo zoo: invece – sorpresa! – era per le cantanti che i nomignoli imparentati con il regno animale si sprecavano. Così, Milva era “la pantera di Goro”, Mina “la tigre di Cremona”, e poi più tardi Iva Zanicchi era “l’aquila di Ligonchio”, Nada “il pulcino di Gabbro”, Luciana Turina “la balena di…” ma forse sto esagerando un po’!

Mina aveva cominciato la carriera per caso (venne invitata da amici a salire su un palco in maniera del tutto estemporanea) col nome di Baby Gate.

Allora, più che altro, si cimentava con i classici della canzone americana recente. Poi, col nome di Mina, venne inserita nel filone degli “urlatori”; le sue qualità vocali e la sua presenza scenica non potevano lasciare indifferenti neanche i signori della televisione che cominciarono ad affidarle importanti trasmissioni quali la neonata “Studio Uno”, dove Mina avrà occasione di prodursi in avvincenti medley di canzoni famose e di incontrare tutto il meglio del mondo dello spettacolo dell’epoca, da Totò ad Alberto Sordi, da Peppino De Filippo a Vittorio Gassman, da Walter Chiari a Marcello Mastroianni, da….(ma sono veramente troppi quelli che lei chiamava a partecipare a “Studio Uno”, nel suo angolino denominato “l’uomo per me”).

Innumerevoli i successi anche discografici di questa cantante che avrebbe potuto sfondare all’estero se solo non fosse stata preda della sua paura di volare.

Si ricorda una sua tournée in Sud America nel 1966 poi una sua famosa battuta che diceva più o meno così: “meglio essere la prima in Italia che una delle tante nel mondo”, faceva capire quanto poco lei si stimasse (riguardarsi e risentirsi sarà per lei sempre una sofferenza).

Gli spettacoli del sabato sera erano anche il regno di Rita Pavone, vero emblema della gioventù italiana dell’epoca.

Sempre circondata dai “Collettoni”, ragazzi e ragazze che stravedevano per lei, facendo intendere che lei era il capo della banda e che tutte le idee partivano da lei (tra questi anche le future star Loredana Bertè e Renato Zero), sempre con un nuovo ballo da lanciare, è stata una cantante molto personale e con uno stile inconfondibile, destinato a dividere pubblico e critica (c’è chi la adora e chi non la sopporta).

Non bisogna dimenticare che questi cantanti erano serviti da fior di autori, arrangiatori e direttori d’orchestra che ci hanno lasciato canzoni indimenticabili: i nomi di Bruno Canfora, Ennio Morricone, Franco Pisano sono i primi che vengono in mente…poi è arrivato il maestro Pippo Caruso…


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.....Infine arrivò Peppe Vessicchio....

mingo

23/11/2007 23:42:02


 
 

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