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4 luglio 2019

L’impegno in musica (puntata n. 148)

di Dario Cordovana



Nelle classifiche di vendita dei 45 giri Sanremo 1974 si rivela un flop clamoroso: soltanto la canzone vincitrice, “Ciao cara come stai?” di Iva Zanicchi entra in classifica, nelle posizioni più basse e per poco tempo. Molto più indietro il brano di Modugno. In totale si venderanno solo 100.000 copie totali dei dischi della manifestazione rivierasca. Una miseria. E pensare che solo due anni prima i brani dei Delirium, di Marcella, di Nicola Di Bari, di Peppino Gagliardi, di Nada avevano fatto la fortuna dei discografici. Certo la decisione della Rai di concedere le telecamere solo per la serata finale è stata una mazzata. Ma non è solo questo.
La gente ormai ascolta altro: intanto è proprio il formato 45 giri a denunciare segnali di crisi, a differenza del 33. Ma questa è ormai una diretta conseguenza dei mutati gusti. E’ chiaro che né i gruppi di rock romantico (come si chiamava allora il progressive), né i sempre più popolari cantautori italiani, potevano impostare il loro discorso musicale sul piccolo formato. Per i primi era anche una questione di minutaggio. “Gioco di bimba” delle Orme poteva prestarsi a essere stampata su 45 giri ed essere trasmessa dalle radio, ma era l’eccezione che confermava la regola che vedeva i brani di questi gruppi spesso sfiorare o superare i dieci minuti di durata.
Per i cantautori c’era invece l’esigenza di fare un discorso più ampio e spesso politicizzato “nella misura in cui si deve fare un certo tipo di discorso per non cadere in un deprecabile equivoco culturale che non coinvolge le reali esigenze delle masse”. Il discorso virgolettato e tradotto in italiano dal romanesco era una lunga tirata del personaggio di Verzo, studente sinistroide interpretato da Mario Marenco al programma radiofonico “Alto Gradimento”. Verzo arrivò un paio d’anni più tardi del periodo che stiamo trattando, ma d’altra parte il successo dei cantautori nel 1974 è ancora a uno stato embrionale. In quell’anno Paolo Conte pubblica il primo album solista (uno dei tre che portano solo il suo nome), nel quale si dimostra ottimo autore (ma a parte “Onda su onda” e “Una giornata al mare”, e magari i bozzetti umoristici di “Tua cugina Prima” e “La giarrettiera rosa”, i classici devono ancora venire), ma cantante dallo stile ancora molto approssimativo, per non dire estremamente sgraziato.
Edoardo Bennato invece con il suo secondo album, “I buoni e i cattivi”, ha già maturato un suo stile. In alcune trasmissioni televisive è possibile imbattersi in questo strano modello di cantautore impostato come una “one man band”. Bennato suona chitarra, armonica, kazoo, percussioni e canta, proprio come i musicisti di strada. I suoi brani sono spesso ironici e trascinanti. Qualche titolo? “Ma che bella città”, “Arrivano i buoni”, “In fila per tre” e soprattutto “Salviamo il salvabile”, vero tormentone delle sue esibizioni.
Fabrizio De André invece pubblica “Canzoni”, in parte lo sfizio di riprendere classici della sua vecchia produzione e rivestirli di nuovo (“Delitto di paese”, “Canzone dell’amore perduto”, “La città vecchia”) e completare il tutto con alcune cover decisamente ben scelte (“Le passanti” da Brassens, “Via della povertà” da Dylan, “Suzanne” e “Giovanna d’Arco” da Leonard Cohen). Il risultato è molto equilibrato e musicalmente eccellente.
Continua in quell’anno il momento di forma di Antonello Venditti che pubblica “Quando verrà Natale”, i cui brani vengono spesso passati alla radio, e non solo quello considerato di punta, “Campo de’ fiori”. Un altro passo verso il grande successo per il cantautore romano, ma il boom è di là da venire.
E se per parlare di Alan Sorrenti e il suo album omonimo (quello con il fortunato rifacimento di “Dicitencello Vuje”) bisogna aspettare la fine dell’anno, si può nell’attesa cimentarsi nell’ascolto di “Stanze di vita quotidiana” di Francesco Guccini, un album dalla gestazione difficile e non tra i preferiti del suo stesso autore. Un critico come Riccardo Bertoncelli ebbe l’idea di stroncarlo e Guccini gli rispose in musica componendo “L’avvelenata”, divenuto poi uno dei suoi brani più celebri. Guai a fare arrabbiare i cantautori…

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