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30 novembre 2021

FESTIVALBAR 1974 (puntata n. 155)

di Dario Cordovana



Nel 1974 non c’era YouTube, non c’erano gli smartphone, e a pensarci bene non c’era neanche internet. Se si voleva ascoltare musica bisognava acquistarla o pagare in qualche modo (anche le cassette che in quel periodo cominciavano ad avere grande diffusione, pur se vergini le dovevi acquistare). D’estate poi, tramontato il mangiadischi, se non ti volevi portare appresso il tuo radioregistratore a cassette, come fare per ascoltare musica? Se eri in auto c’erano le cassette Stereo 8, che avevano un lato solo e quindi duravano poco, altrimenti ascoltavi la radio. E se ti trovavi in un locale, magari in una pizzeria? Ma c’erano i juke-box, ovviamente!
I juke-box erano dei begli apparecchi che avevano solo un sostanziale difetto: funzionavano con i 45 giri, che venivano inseriti all’interno dell’apparecchio e poi, dopo pagamento tramite moneta o gettone (da cui l’espressione “disco più gettonato”), catapultati sul piatto di un giradischi, attraverso una leva che andava a pescare proprio il disco che avevi scelto. In genere i 45 presentavano entrambe le facciate, la A, gettonatissima, e la B, molto meno. Spesso però c’erano dei 45 giri che erano edizioni speciali per juke-box e accoppiavano due grandi successi di artisti diversi, ma magari legati dall’appartenenza alla stessa casa discografica.
Dunque il successo del juke-box andò avanti strettamente legato a quello del 45 giri. Tramontato quest’ultimo, si tentò di aggiornare quei pachidermici apparecchi al nuovo che avanza, cioè al CD, ma con poca fortuna, anche perché per ascoltare la musica erano ormai stati creati altri mezzi più pratici e, vivaddio, anche economici.
Ma ancora nel 1974 aveva molto senso che ci fosse una manifestazione come il Festivalbar di Vittorio Salvetti a premiare la canzone più gettonata dell’estate, tra quelle in concorso. E il bello era che, non essendo obbligatoria per gli artisti, la partecipazione alla serata finale (quell’anno prevista per il 19 settembre), e che poi veniva trasmessa dalla televisione (ovviamente ancora targata Rai), poteva capitare di vedere tra i partecipanti dei nomi che alle altre manifestazioni non andavano o non andavano più. E’ il caso del vincitore di quell’anno, Claudio Baglioni con “E tu…”, dopo un testa a testa con “Piccola e fragile” di Drupi, ma anche di Marcella, che alle manifestazioni canore all’epoca partecipava col contagocce, che presenta una  “Nessuno mai” spruzzata di black music e che si piazza terza. Al quarto posto la conferma degli Alunni del Sole, con “Jenny”, altro pezzo prettamente estivo. Quinti i Daniel Sentacruz Ensemble di “Soleado”, che dopo questo exploit darà un’ulteriore soddisfazione ai suoi autori Baldan Bembo e Zacar (alias Ciro Dammicco): con un testo scritto da Fred Jay diventerà qualche anno dopo una celebre canzone di Natale con il titolo di “When a Child is Born”, cantata da molti artisti (il maggiore successo è di Johnny Mathis).
Al sesto posto si piazza il nuovo successo dei Cugini di Campagna, “Innamorata”. Il gruppo, lungi dall’essere una meteora, “ispirerà” molti complessi di minor successo ad adottare l’uso della voce in falsetto (un esempio di quell’anno è dato dagli Ut). Settima è invece “Signora mia” che lancia al grosso pubblico Sandro Giacobbe, autore e interprete devoto a storie di pruderie adolescenziali in stile “Malizia”.
All’ottavo posto si piazza Beethoven, ma questa non è ormai una sorpresa, vista l’attenzione che negli anni la manifestazione ha riservato ai rifacimenti pop di brani di autori classici. Stavolta è James Last ad aggiornare la romanza in fa maggiore per violino e orchestra opera 52 di Ludwig Van e accorciarne il titolo in “Romance” o addirittura in “Beethoven ‘74” (bleah!). A farne un grande successo contribuirà anche un carosello pubblicitario che lo assocerà ad una nota marca di brandy, quello “che crea un’atmosfera”.
Qui si fermano le classifiche ufficiali, ma molti altri sono i partecipanti al Festivalbar di quell’anno, dai Pooh involuti di “Per te qualcosa ancora”, ai Gens (la splendida “Quanto freddo c’è”), all’esordiente Loredana Berté, quasi sussurrante in “Volevi un amore grande” e ancora lontana dal suo stile aggressivo (a quei tempi la si voleva lanciare come fenomeno sexy, e in fatti l’album di riferimento si chiamava “Streaking”, un termine che indicava una sorta di esibizionismo in cui si irrompeva completamente nudi in un evento pieno di persone).
C’è anche l’Alan Sorrenti di “Dicitencello Vuje”, rifacimento riuscito in chiave pop della celebre canzone napoletana, che lo porterà dritto a “Hit Parade”, i Camaleonti con la nuova “Il campo delle fragole”, Patty Pravo con “La valigia blu” e molti artisti già presenti con le stesse canzoni al “Disco per l’estate”: i Nomadi, i Romans, Piero e i Cottonfields, le Figlie del Vento, Donatello, i Nuovi Angeli, Gianni Bella, e una serie di artisti stranieri molto popolari in quel 1974: George McCrae con “Rock Your Baby”, i Rubettes con “Sugar Baby Love” e Suzi Quatro con “Devil Gate Drive”. E anche gli Oliver Onions di “Dune Buggy” e il Franco Micalizzi di “L’ultima neve di primavera” a rappresentare le colonne sonore.
Presenti alla serata finale del 19 settembre anche i Panda con “Addormentata” (dei Pooh all’acqua di rose), l’immancabile Demis Roussos (“Someday Somewhere”), la conferma del liscio di Raoul Casadei e della sua Orchestra Spettacolo (“Simpatia”) e i Velvet Glove (“Sweet Was My Rose”). Ah, in gara c’è anche Renato Zero con “il tuo safari”, ma praticamente non se n’è accorto nessuno…

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