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7 settembre 2012

Storia semiseria e disordinata della canzone italiana - Sanremo ’71: prima serata

di Dario Cordovana



Dopo un’annata così così, Sanremo riprende subito quota: l’edizione del 1971 è l’ultima con la doppia esecuzione e, malgrado la rinuncia di alcune importanti case discografiche, presenta comunque molti personaggi di spicco e molte buone canzoni. Ma andiamo per ordine e cominciamo dalla prima serata.
Ancora una volta si ragiona per terne: la prima è aperta da Donatello (curiosamente toccherà ancora a lui aprire i Festival del 1972 e del 1973) con la delicata “Com’è dolce la sera” che viene ripetuta da una cantante ancora più delicata, Marisa Sannia: interpreti giusti, buona canzone, finale assicurata. Segue, uno dei big, Domenico Modugno, con la sua accorata canzone strappalacrime “Come stai?”. Il Mimmo nazionale fatica parecchio, come al solito, per trovare l’interprete giusta cui affidare il suo drammone che parla di un amore finito troppo presto perché il partner muore; alla fine Carmen Villani si rivela più che adatta e il pezzo passa tranquillamente il turno. Carmen Villani si rivela ancora una volta interprete matura e sottovalutata. Segue la canzone “Occhi bianchi e neri”, uno scontatissimo valzer che nel 1971 appare davvero fuori tempo massimo. Somiglia a certe cose che Christian cantava ad inizio carriera, ma qui gli interpreti sono Mau Cristiani e Pio. Quest’ultimo, imposto dal solito Celentano, lo scorso anno era arrivato ultimo con “Nevicava a Roma”, ma stavolta, per soli tre voti, non ci riesce e si deve accontentare della penultima posizione. Che volete farci? Non sempre le giurie hanno la vista lunga.
La seconda terna si apre con un pezzo senza infamia e senza lode che ci riporta agli anni venti; si chiama “Amsterdam” ed è interpretato da Rosanna Fratello e da uno spaesato Nino Ferrer; meglio “Ninna nanna (cuore mio)”, che segue coordinate battistiane anche se tutto quello a cui possono ambire Caterina Caselli e i Dik Dik (che arrangiano alla Procol Harum come al solito) è un’onestissima finale. “L’ultimo romantico” è invece una bella canzone di Pino Donaggio, valorizzata oltre che dall’autore, ancora di più da una azzeccata interpretazione di Peppino Di Capri, che comincia, con il ritorno ad un repertorio italiano, la strada per il suo fortunato rilancio.
Altre tre canzoni: la prima, “Che sarà”, avrebbe dovuto essere presentata dal suo autore Jimmy Fontana, in coppia con i Ricchi e Poveri. Poi, concretizzatasi la possibilità di avere un nome prestigioso come Josè Feliciano (grande successo per la sua cover della “Light my Fire” dei Doors), Jimmy se ne torna in panchina e accetta di comparire solo come autore. Il pezzo, che grazie a Feliciano sarà conosciuto anche all’estero, è rimasto nella storia del Festival, a partire dal celebre inizio “Paese mio che stai sulla collina/disteso come un vecchio addormentato…”. I Ricchi e Poveri, ben più di semplici comprimari, fanno il loro dovere con professionalità, ma è chiaro che è Feliciano a rubare la scena, ricevendo applausi a scena aperta. Altra canzone molto interessante e con una storia da raccontare è “Bianchi cristalli sereni”, che il suo autore, Don Backy, aveva scritto sperando di coinvolgere Gianni Morandi. Il pezzo ha una strofa molto originale melodicamente, mentre il ritornello, di stampo più popolare, riecheggia effettivamente alcune cose del Gianni. Ad ogni modo, non risolvendosi il Morandi al suo esordio a Sanremo neanche questa volta, Don Backy ripiegherà su un altro Gianni, Nazzaro, suo interprete di fiducia, con il quale la canzone arriva in finale. Chi invece la finale la manca per poco è “Andata e ritorno”, un buon pezzo ben eseguito da Maurizio e Fabrizio (il Maurizio di Maurizio e Fabrizio è in realtà… Maurizio Fabrizio, poi celebre autore di canzoni del Festival) e dal gruppo dei Protagonisti che così si riscatta dall’aver interpretato una delle canzoni più brutte della storia della musica leggera italiana (“Noi ci amiamo”, un capolavoro di ridicolo). Tra loro Oscar Avogadro, poi affermato paroliere.
Ultime tre canzoni: il postino Sergio Menegale sorprende tutti conquistando la finale con “Il sorriso, il paradiso”, exploit che porta in finale il gruppo belga Wallace Collection, in Italia noto almeno per due buoni successi (“Daydream” e “Fly me to the earth”), e, cosa inusuale, per avere un violino solista in formazione. Uno dei gruppi storici del beat italiano, i Nomadi, esordisce a Sanremo con “Non dimenticarti di me”, ma malgrado l’accoppiata con Mal non sia proprio da buttare, il brano non ha fortuna. Chiude (in seconda esecuzione), un ritorno, quello dei Giganti che, tra pause e scioglimenti temporanei mancavano dal Festival da tre anni. Qui devono salvare “Il viso di lei” che in prima esecuzione è stata affidata all’acerbo esordiente Fabio Trioli. Il loro arrangiamento fatto di virtuosismi, non riesce nell’impresa e il pezzo si classifica all’ultimo posto…

COME E' DOLCE LA SERA - (Marisa Sannia)


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