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30 dicembre 2014

Storia semiseria e disordinata della canzone italiana - UN DISCO PER L'ESTATE 1972: SEMIFINALE 1

di Dario Cordovana



Mai era accaduto che al Disco per l’estate ci fossero così tante canzoni partecipanti. Partite in 64 alle semifinali sono arrivate in 28 e quindi nella prima semifinale ne esaminiamo 14 (è matematica!).
Inizia Piero Focaccia, dal quale non ci si aspettano canzoni particolarmente impegnate, magari canzoni non inutilmente complicate come quella assurda “Zacchete” che aveva mancato (di poco!) la qualificazione nel 1971. “Il sabato a ballare” si giova certamente di un’esposizione più lineare, ma non è nemmeno originale come quella “Permette signora” che lo aveva rilanciato due anni prima, che tra l’altro aveva la trovatina del “fuggisca con me” che restava impressa. E’ una canzone allegrotta e senza pretese che come massimo traguardo ha il raggiungimento delle semifinali. Che non è poco visto che le canzoni che ce la fanno vengono poi trasmesse dalla radio in appositi spazietti per tutta l’estate. Focaccia quindi può essere già contento così.
Seguono poi i Ricchi e Poveri, all’esordio in questa manifestazione. La loro “Pomeriggio d’estate” è ben calibrata per le doti del gruppo ed è una delle pochissime canzoni che si ispirano alla stagione in corso. Sembra infatti un paradosso, ma la manifestazione denominata “Un disco per l’estate”, arrivata alla sua nona edizione, perde di vista la sua musa ispiratrice (l’estate appunto). Non il gruppo genovese che raccoglie la qualificazione alla finale.
Intanto prosegue lentamente il rilancio di Peppino Di Capri, arrivato a St.Vincent con una canzone finto-autobiografica, “Una catena d’oro”, contenente persino una parte strumentale dominata dal flauto traverso. Il pezzo aveva faticato a qualificarsi, venendo ammesso solo con l’allargamento delle qualificate. In semifinale le cose vanno meglio, ma nella prima serata il buon Peppino è il primo degli esclusi.
Un po’ romantica, un po’ ingenuamente hippy (ancora nel 1972!), “Una chitarra e un’armonica” di Nada vede il pulcino di Gabbro ancora nel suo primo periodo, da cui si discosterà in seguito per un repertorio di maggiore spessore. A molti la Nada iniziale fa tenerezza, anche se quel “Varavan varavam blem blem” del ritornello, che dovrebbe riprodurre il suono degli accordi della chitarra acustica, è duro da mandare giù. E come se non bastasse uno se lo dovrà sorbire anche in finale!
Una bella sorpresa è il ritorno di Gino Paoli, curiosamente inserito nella stessa serata di Ornella Vanoni (ma che bella rimpatriata!). “Non si vive in silenzio” non è un capolavoro, ma riesce a coniugare il nuovo stile di Paoli con le esigenze di orecchiabilità che servono per piacere al pubblico dei concorsi canori. Siamo però lontani dalla finale, ma è bello essere arrivati fin qui.
I Dik Dik invece, oltre alla finale, si garantiscono il dominio dell’estate canora con una canzone scritta per loro da Maurizio Vandelli: “Viaggio di un poeta”. Il tema del testo non è affatto originale: la solita storia di un giovane che parte per scoprire il mondo e fare il vagabondo e finisce per capire che il vero tesoro ce l’ha sotto casa, anzi “davanti alla sua porta”. Il solito invito ad accontentarsi di quello che la vita sa offrire di piccolo: gli affetti di una donna che amava da anni e che lui aveva lasciato per qualcosa di più. Potrei andare ancora più in profondità, ma oggi non mi va di demolire questa canzone, per altro musicalmente molto bella.
Chi si rivede! Riccardo Del Turco, dopo aver vinto il Disco per l’estate nel 1968 con “Luglio” era un po’ sparito da questa manifestazione. “La cicala” dell’anno precedente era passata senza far rumore, mentre “Uno, nessuno” ottiene la qualificazione alle semifinali senza difficoltà, ma poi resta un po’ al di sotto dell’asticella che decreta il passaggio in finale. Rispetto al brano dell’anno precedente, “Uno, nessuno” si rivela più ritmata, mentre il testo analizza la vita poco soddisfacente di una persona troppo dedita al lavoro.
Fred Bongusto. Cosa sarebbe il Disco per l’estate senza di lui. Anche se la sua canzone per una volta non contiene la parola “mare” nel titolo. Il pubblico gliela fa pagare e la finale resta lontana. Eppure “Questo nostro grande amore” non è male e merita di essere tra le magnifiche ventotto.
Dopo “Donna felicità” le firme di Vecchioni e Pareti stanno dietro al nuovo pezzo dei Nuovi Angeli (scusate il bisticcio…). “Singapore” è una sciocchezza indovinata e contagiosissima, anche se la semifinale di St.Vincent non le porta fortuna. Rimane in ogni caso uno dei pezzi più noti del gruppo di Paki Canzi.
Grande classe quella di Ornella Vanoni che porta senza difficoltà in finale “Che barba amore mio” di Giorgio Conte e finale ovvia anche per “Malinconia” di Tony Cucchiara (curiosamente stesso titolo del brano che Roberto Soffici aveva portato a St.Vincent l’anno prima). Ovvia perché il brano del cantante siciliano è stato il secondo più votato in assoluto, e anche in semifinale si comporta bene.
La semifinale viene vinta da “Io vagabondo (che non sono altro)” dei Nomadi. I Nomadi sono alla terza partecipazione consecutiva e ottengono con questo bel brano un notevole successo già nel 1972. Nulla di paragonabile però a quanto succederà col passare degli anni, quando questa canzone di Salerno e Dattoli (che immaginiamo milionari) diventerà uno dei pezzi più noti degli anni settanta.
Successo più limitato per “Salvatore” di Ombretta Colli, ultima delle qualificate alla semifinale, scritta da Memo Remigi, che si lascia alle spalle quattro artisti nella sua semifinale e non può chiedere altro alla manifestazione. Per una Colli abituata alle marcette popolari, questo valzerone è un simpatico diversivo.
Chiude la puntata una canzone in dialetto romanesco, “Semo gente de borgata”, cantata dai Vianella. Oddio chi sono costoro? Per i più distratti che non avessero riconosciuto le voci alla radio si tratta dei coniugi Edoardo Vianello e Wilma Goich. Che come un altro duo messosi insieme in quel periodo (Wess e Dori Ghezzi), rilanciano per qualche tempo la loro declinante carriera …

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Wilma Goich che cantava in romanesco era patetica: nativa di Varazze (SV), se non ricordo male, aveva conservato un retrofondo di accento ligure che mal si concilio con l'accento romano. La canzone era sciatterella, o almeno tale mi era parsa allora, e il duo canoro lasciava un po' a desiderare

Sandro

06/01/2015 12:02:31


 
 

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