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17 marzo 2009

Storia semiseria e disordinata della canzone italiana - 41 - La prima serata di Sanremo 1968

di Dario Cordovana



Se il livello delle canzoni di Sanremo 1967 era piuttosto alto, quello di Sanremo 1968 era forse ancora migliore, anche se più per merito della seconda serata che della prima, che però qualche canzone notevole l’aveva.
Apre le danze Mario Guarnera, l’ormai da tempo ex-Papete, in una delle sue ultime apparizioni con “Un uomo piange solo per amore”, una ballad sanremese senza infamia e senza lode replicata non da Mino Reitano, come si potrebbe pensare viste le lacrime, ma da Little Tony, che tra l’altro nel corso dell’anno canterà anche una canzone proprio dal titolo “Lacrime”.
Seguono i Rokes con “Le opere di Bartolomeo”, maldestra canzone su un uomo che lavora in fabbrica ma vorrebbe fare l’artista. Lo stesso Shel Shapiro, da me intervistato, una volta ebbe a disconoscere questo pezzo dicendo: “Non eravamo noi”. Alla seconda esecuzione i Cowsills, una famiglia americana (!) della quale mi sfuggono i motivi dell’inclusione nel cast di quell’anno.
La prima terna si conclude con “Le solite cose” un pezzo di un Pino Donaggio un po’ meno ispirato del solito, accoppiato ad una Timi Yuro (famosa per aver lanciato la versione originale di “A chi”) abbastanza spaesata.
“No amore” segna l’esordio di Giusy Romeo, cantante palermitana che per ottenere il meritato successo (era dotata di una voce dall’estensione non comune) dovrà attendere una quindicina d’anni e qualche cambio di nome (Giusy Romeo-Junie Russo-Giuni Russo). Invece a Sanremo l’accoppiata col francese Sacha Distel, che a Pippo Baudo rievoca dolci ricordi (era lui a cantare la prima sigla finale di “Settevoci”, “La quadriglia”) non basterà per arrivare in finale.
Ed eccoci a Peppino Gagliardi, che a Sanremo 1966 aveva cantato stringendo tra le mani un rosario; il cantante partenopeo esegue senza particolari ammennicoli “Che vale per me” di Carlo Alberto Rossi e viene coadiuvato da una a dir poco ruggente Eartha Kitt, alias Catwoman della serie di telefilm dedicati a Batman. Il commissario Gordon impedisce ad entrambi l’ingresso in finale.
“Sera” segna l’esordio al Festival – come autore – di Roberto Vecchioni, e spedisce in finale Gigliola Cinquetti e la futura-giornalista-ma-allora-cantante Giuliana Valci. Proprio la versione della Valci fu la più apprezzata dagli autori (oltre a Vecchioni il brano portava la firma di Andrea Lo Vecchio), e la Cinquetti non la prese bene (era o non era lei la star?). Comunque il brano, Valci o non Valci, non era granchè e la finale sembra un premio eccessivo.
La terza terna viene aperta da “Gli occhi miei”, un motivo allegro interpretato da Wilma Goich e Dino, ma che farà il giro del mondo con il titolo “Help yourself” nella versione di Tom Jones (eh sì, in fondo ogni tanto qualche brano nelle classifiche estere lo piazzavamo…). Quindi “Deborah”, un magnifico rhythm’n’blues di Pallavicini-Conte (Paolo, ma solo perché il vero autore, suo fratello Giorgio, non era ancora iscritto alla SIAE) affidato alle voci nere di Fausto Leali e Wilson Pickett (che se non ce l’aveva lui…). Chiude in bruttezza la terna “Stanotte sentirai una canzone” di Franco Bracardi che porta in finale Annarita Spinaci e la giapponese Yoko Kishi.
L’ultima terna presenta “Casa bianca” di Don Backy, affidata a Marisa Sannia ed Ornella Vanoni, una delle candidate alla vittoria finale (sarà poi seconda). Poi la meravigliosa “La voce del silenzio”, un po’ sprecata da Tony Del Monaco e da una Dionne Warwick poco a suo agio con la lingua italiana; verrà ripresa da Mina che ne darà una versione sontuosa e diventerà un evergreen della canzone italiana (per la gioia di Paolo Limiti, uno degli autori). Chiude la prima serata un altro rhythm’n’blues, la meno fortunata “Il re d’Inghilterra”, eseguita benissimo dall’autore Nino Ferrer e malissimo dal suo compagno Pilade. Chissà, magari se al posto suo ci fosse stato Wilson Pickett la finale sarebbe stata raggiungibile, anche perché – ripeto – le canzoni della Cinquetti e della Spinaci non sembravano trascendentali. Come del resto potrebbe recriminare un altro escluso, Peppino Gagliardi…

Wilma Goich canta “Gli occhi miei”


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