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26 maggio 2013

Don Pino Puglisi, Martire di Cristo e Beato

di Fra' Domenico Spatola



Era il 15 settembre 1993. Sembrava un giorno come i tanti, che, nel quartiere “Brancaccio” a Palermo, scorrevano con i problemi di sempre.

Padre Puglisi, modesto e antidivo parroco tendente al dialogo con tutti, quel giorno festeggiava il compleanno, alla sua maniera: lavorando. Il “Centro Padre nostro”, da lui voluto per raccogliere i tanti ragazzi della zona, spesso in difetto con gli obblighi scolastici, e precocemente iniziati a faccende dalle quali avrebbero fatto meglio a stare lontani, viveva anche esso un giorno di normalità, salvo a volere ricordare con gratitudine gli anni del fondatore, costretto ogni giorno a tessere il vasto quanto popoloso territorio della parrocchia dedicata a San Gaetano, per convincere genitori e ragazzi a non disertare la scuola ed evitare una condizione di degrado altrimenti inevitabile. Erano gli “anni del terrore”, in quello che qualcuno angosciosamente aveva definito “il triangolo della morte”, e nell’occhio del quale ricadeva in pieno anche il campo operativo di don Pino.

«Troppo si agita, questo prete! Ma chi pretende di essere? Qui comandiamo noi e i ragazzi ci servono per i nostri affari!»

Con queste o simili parole, don Pino veniva fatto oggetto d’intimidazioni da chi, in quel frangente, reggeva, tenendole sotto scacco, tante famiglie.

Don Pino, che non era ingenuo e ben conosceva i rischi del suo operato, sapeva di sfidare il lupo nella tana o di mettere la mano nel covo dei serpenti.

Da meno di un anno a Capaci era saltato in aria con gli uomini della sua scorta Giovanni Falcone, e, due mesi dopo, stessa sorte era toccata, in via D’Amelio, al giudice Borsellino e a chi lo accompagnava.

I “baluardi della legalità” si erano come sbriciolati, e il terrore sulla città di Palermo pesava come una cappa senza soluzione. Ai più sembrò che si fosse definitivamente spenta la legalità e con essa «la speranza dei Palermitani» come scrisse tempestivamente un anonimo dieci anni prima, quando era stato assassinato Carlo Alberto Dalla Chiesa (1982) altro eroe tra i tanti da non dimenticare, o come si espresse il giudice dell’antimafia dott. Antonino Caponnetto, abbandonato a momentaneo e giustificato sconforto, quando fu ucciso Paolo Borsellino (1992).

In verità qualche segnale positivo nel frattempo sembrava arrivato, con l’assicurare alla giustizia alcuni mandanti ed esecutori di quei misfatti. Don Pino, tuttavia, non si faceva illusioni e, con la forza sovrumana del ministero di Sacerdote e di uomo dello Spirito, cercava infaticabilmente il dialogo anche e soprattutto con coloro che volevano intimidirlo senza mai però venire allo scoperto, consapevole che anche questi tali andavano ricondotti a Cristo. E quando, a sera di quel giorno, dedicato come i tanti all’umile quanto efficace suo ministero, scorse i sicari, venuti per ucciderlo, accogliendoli con un sorriso, disse loro con ineffabile serenità: «Vi aspettavo!»

Li “aspettava” come un padre accoglie i figli cui vuole donare, al di là di ogni loro gesto, la speranza. Fu “il suo miracolo”, quello di trasformare gli assassini in pentiti, così che uno di essi, a giustificazione del suo nuovo sentimento, ebbe a deporre durante il processo che «quel suo sorriso si era talmente impresso nei miei occhi che non lo dimenticherò mai!».

A caldo, fu comprensibile della Chiesa locale e della cittadinanza lo smarrimento seguìto al gesto criminale, e le espressioni di amarezza e di speranza del compianto cardinale Salvatore Pappalardo, anch’egli in prima linea per la lotta in favore della legalità, che strenuamente difese dal pulpito e in ogni maniera, senza tuttavia mancare di  sottolineare il suo dovere di Pastore nel recupero anche dei figli degeneri.

Il martirio di don Pino trasformò molte coscienze, invogliando al riscatto in nome di Cristo e della Società, cresciuta nel frattempo più a misura d’uomo nella Chiesa palermitana e in tutte le Chiese di Sicilia, le quali acquisirono più consapevolezza di azione nel sociale e di guida sul territorio per la promozione umana nel senso più globale.

Fu “il Testamento spirituale” del nostro Beato la sua fedeltà al Vangelo e alle “Beatitudini” tradotte in termini di conversione radicale al Vangelo.

La Beatificazione del Servo di Dio don Pino Puglisi è così il riconoscimento ecclesiale, doveroso per il suo inequivocabile gesto d’amore per Cristo e per la Chiesa. L’ermeneutica del suo gesto va estesa all’intera sua esistenza di “uomo dello Spirito”.

La vita di Padre Pino, maturata fino «all’amore più generoso di chi dà la vita per i fratelli» e coronata dal martirio, è comune riferimento per un maggiore impegno nel territorio a realizzare i valori di onestà che costituiscano il lascito credibile per le giovani generazioni. Il messaggio non conoscerà ostacoli, perché come amava ripetere Falcone: «Potete ucciderci, ma le nostre idee continueranno a camminare sulle gambe di tanti altri uomini».

Il ventennio, trascorso da quel fatidico anno 1993, non è passato invano se oggi possiamo celebrare il riscatto da quella e da tutte le altre morti ingiuste, le quali, senza annientare gli eroi, ne hanno reso più luminoso il senso dell’offerta per le sfide attuali e future per la Sicilia, chiamata a liberarsi da annose schiavitù e da servilismi del malaffare che hanno causato tragiche quanto perduranti conseguenze come quella, endemica e non ultima, della disoccupazione.

Il felice evento della Beatificazione di Don Pino, atteso e propiziato dalle Chiese di Sicilia e dal Popolo, possa costituire la definitiva svolta per la quale tanti Martiri, anche laici, hanno saputo come lui offrire coraggiosamente il sangue per fondare nella nostra Terra “la normalità” richiesta ad ogni convivenza cristiana e civile.

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