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18 febbraio 2013

Due parole su Sanremo 2013

di Dario Cordovana



Plauso pressoché unanime per il festival del rinnovamento. Così infatti è stata definita l’edizione 63 della celebre kermesse canora. Festival di Fabio Fazio e di Luciana Littizzetto, bravissimi e affiatatissimi grazie ad una frequentazione artistica che dura ormai da diversi anni, ma anche di Mauro Pagani, nuovo direttore artistico a cui vanno in effetti riconosciuti dei meriti.

Indovinata è sembrata l’idea di far presentare ad ogni cantante due brani tra cui scegliere quello in gara. Ciò ha permesso ad ogni artista di esibire porzioni più generose della sua produzione, e ha obbligato il pubblico ad ascoltare con attenzione persino i brani di artisti meritevoli, ma non troppo noti come i Marta sui Tubi. Questo anche se le scelte non hanno sempre premiato la canzone migliore tra le due, ma questi sono i rischi del famigerato televoto (che per fortuna quest’anno è stato stemperato dal voto di una sedicente giuria di qualità).

Il livello delle canzoni (che è poi quello che dovrebbe interessare di più) è stato mediamente buono. Gente come Daniele Silvestri, Max Gazzè e Raphael Gualazzi è ormai sinonimo di qualità, mentre Elio e le Storie Tese si sono divertiti, a diciassette anni dal loro debutto sul palco dell’Ariston, a mettere scompiglio ogni volta che toccava a loro esibirsi. Le loro canzoni sono spesso puro nonsense, ma con una preparazione tecnico-musicale alla base che in Italia ha pochi eguali. Aggiungiamo uno spiccato senso dell’humour e il gioco è fatto. Per la seconda volta Elio e i suoi sodali hanno sfiorato la vittoria. Chissà cosa succederebbe se mandassimo loro all’Eurofestival.

Invece a rappresentarci in Europa ci andrà Marco Mengoni, vincitore con “L’essenziale”, degno erede di una vocalità che ha visto tra i suoi precursori il compianto Alex Baroni.

In questa edizione si è provveduto anche a un doveroso svecchiamento del parco cantanti, relegando i Toti Cutugni e gli Al Bani al rango di ospiti d’onore, non senza qualche mugugno da parte degli interessati (soprattutto da parte di Al Bano, ormai come personaggio, degno erede di Claudio Villa). Ancora acerbe però sono sembrate le giovani Chiara e Annalisa, e bastava ascoltare Maria Nazionale per accorgersene. La cantante napoletana non sfoggia certo una vocalità modernissima, ma a tratti suggestiva (non pochi hanno colto rimandi al fado portoghese), ma sa utilizzare la voce con espressività, quello che manca alle giovani reduci dei talent scout più in voga al momento.

Sempre brava Malika Ayane, ma senza una canzone all’altezza, mentre banalissimo è apparso il pezzo di Simona Molinari e Peter Cincotti. Simone Cristicchi ha cantato uno dei pezzi più curiosi mai ascoltati al Festival, mentre gli Almamegretta hanno portato un po’ di reggae a Sanremo, ma con scarsa fortuna. Il tempo dirà se il giudizio del pubblico che ascolta musica sarà in grado di vendicare il loro ultimo posto.
Questo è quanto. L’anno prossimo chiunque sarà chiamato a presentare questa rassegna, dovrà ripartire da questi risultati, che sicuramente ci danno la speranza di assistere ad altre edizioni di qualità (che non fa rima con Modà…)

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