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22 ottobre 2013

A SCUOLA DI ROCK 5 - Joni Mitchell

di Dario Cordovana



Anche lei canadese come Neil Young e Leonard Cohen, Joni Mitchell (cognome preso dal suo primo marito), comincia a farsi un nome negli Stati Uniti dopo la metà degli anni sessanta, quando alcune sue canzoni, che lei esegue in concerto, verranno adottate da alcuni folk singer. Riesce così a strappare un contratto con la Reprise, allora etichetta anche di Frank Sinatra, per un primo album omonimo, che esce nel 1968.
In realtà più maturi saranno i successivi “Clouds”, con le ormai famose “Chelsea Morning” e “Both Sides, Now” e ancor di più “Ladies Of The Canyon”, che contiene una canzone dedicata al suo amore dell’epoca, l’inglese Graham Nash, che proprio in quel periodo sta raccogliendo i frutti del suo sodalizio con Crosby, Stills e poi Young. Proprio nel primo album del quartetto è contenuta una bella versione di “Woodstock”, presa dallo stesso album della cantante.
Joni a questo punto ha consolidato un suo stile personale, si esprime in modo eccellente sia alla chitarra acustica, sia al pianoforte, e in molti si aspettano qualcosa di decisivo. In effetti l’album seguente, “Blue”, del 1971, è da molti considerato il suo capolavoro, un disco terribilmente intenso. I panni di semplice cantautrice cominciano però a stare un po’ stretti alla nostra Joni, che già ha uno stile molto raffinato, ma che già nel 1973 si sposta in territori più vicini al jazz. In “Court And Spark”, il jazz è forse solo un modo nuovo di vestire le sue canzoni, anche se il suo modo di avvicinarsi a un pezzo difficile come “Twisted” di Annie Ross, lascia senza fiato. Per non farsi mancare niente l’inquieta canadese inserisce anche dei tamburi africani in “The Jungle Line”, tratto dal nuovo e manco a dirlo, raffinatissimo “The Hissing Of Summer Lawns”. Ormai il termine cantautrice (e tantomeno folk) le sta decisamente stretto, come conferma lo splendido “Hejira”. Il brano di apertura dell’album, “Coyote”, viene eseguito da lei nel celebre concerto d’addio della Band, “The Last Waltz”.
Ormai, anche grazie alla frequentazione di bei nomi dell’ambiente del jazz come il talentuoso giovane bassista Jaco Pastorius o anche Wayne Shorter, Pat Metheny e Herbie Hancock, il folk è un lontano ricordo, ma in alcuni casi la musica della canadese si fa più involuta. A soffrirne è il nuovo, doppio album, “Don Juan’s Reckless Daughter”, che presenta un lunghissimo brano, “Paprika Plains”, non certo di facile comprensione. Il passo seguente è la collaborazione con un mostro sacro del jazz, come il contrabbassista Charles Mingus, che si interrompe per la morte di lui, al quale viene dedicato l’album che porta il suo cognome. E’ un album sì interessante, ma che rappresenta per Joni un punto oltre il quale non si può andare.
Passano tre anni prima di avere sue notizie, e nel 1982 esce “Wild Things Run Fast”, dove lei prova a cimentarsi con vari generi musicali (c’è persino una cover del classico rock’n’roll “You’re So Square, Baby I Don’t Care”). La Mitchell cerca di non ripetersi, e si rivolge a un produttore alla moda come Thomas Dolby per “Dog Eat Dog”, ma gli anni ottanta non sono un periodo straordinariamente creativo per lei.
Sarà solo nel 1991, con “Night Ride Home”, che, ancora spalleggiata dal marito musicista e produttore Larry Klein, tornerà a uno stile a lei più familiare, e con un gruppo di canzoni finalmente all’altezza della sua fama. Con quest’album Joni Mitchell ha trovato la quadratura del cerchio, e i due album seguenti non si discostano troppo da questa formula. Poi dopo l’ultimo dei due, “Taming The Tiger” del 1998, preferisce dedicarsi all’altra sua attività preferita, la pittura (la maggior parte delle copertine dei suoi album sono in effetti progettate ed eseguite da lei stessa). Quando rimette mano alla musica è per rivedere con discutibili arrangiamenti orchestrali i suoi brani affiancati a classici jazz. Quando sembra ormai prossimo un suo addio alle scene c’è un ultimo sussulto, nel 2007, con l’album di inediti “Shine”, che contiene anche un rifacimento di uno dei suoi più grandi successi, “Big Yellow Taxi”. Poi i problemi di salute hanno la meglio e, seppur mai annunciato ufficialmente, rendono effettivo il suo ritiro…


Tre album da avere: Ladies Of The Canyon, Blue, Hejira.

Un album da evitare: Both Sides Now.

CHELSEA MORNING
(Joni Mitchell)



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