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8 gennaio 2014

A SCUOLA DI ROCK 8 - DAVID BOWIE

di Dario Cordovana



Quando uno ha la disgrazia di nascere con un nome banale come David Jones, per altro già appaltato al cantante dei Monkees, per emergere si deve dare davvero da fare. E, cambiato il suo cognome in Bowie, di gavetta ne ha dovuto fare il nostro prima di emergere.
Figura nota già dalla metà degli anni sessanta negli ambienti musicali, David Bowie non era riuscito a farsi largo né con i pezzi in compagnia dei Lower Third, né con il suo primo album solista.
Due anni dopo la prima svolta, con il singolo “Space Oddity”, che cavalca l'ondata di interesse per allunaggi e viaggi spaziali. E' il 1969, l'anno del famoso sbarco del primo uomo sulla luna, ma il protagonista del pezzo di Bowie è meno fortunato. A lui toccherà di roteare in orbita spaziale in modo permanente. L'album che conteneva il pezzo si rivelerà inadatto a lanciare anche Bowie, e nemmeno il successivo “The Man Who Sold The World” raggiungerà il risultato prefisso.
Di fenomeno Bowie si comincia a parlare nel 1971, anno dello splendido “Hunky Dory”, che finalmente riesce ad imporre il suo personaggio sessualmente ambiguo. Ad impreziosire le riuscite “Changes”, “All You Pretty Things” e l'ispiratissima “Life On Mars?” il pianoforte di un Rick Wakeman non ancora assoldato dagli Yes, e sessionman molto richiesto (vedi alla voce Cat Stevens).
L'anno seguente porta la nascita del personaggio di Ziggy Stardust e del suo gruppo Spiders From Mars, ovvero Mick Ronson alla chitarra, Trevor Bolder al basso e Woody Woodmansey alla batteria. L'album relativo, perfettamente inserito nel neo nascente fenomeno del glam rock, porta un'altra serie di classici, da “Ziggy Stardust”, a “Suffragette City”, a “Moonage Daydream”, senza un attimo di cedimento. Il personaggio di Ziggy viene portato con successo in tour e finalmente “ucciso” in scena dallo stesso Bowie che un anno dopo annuncia in concerto l'uscita definitiva di scena, all'insaputa degli stessi Spiders From Mars, i quali, ritrovatisi improvvisamente disoccupati, ci rimangono alquanto male. Nel frattempo Bowie si gode il successo di “Aladdin Sane” e dell'album di cover “Pin Ups”, e nel tempo libero ne approfitta per rivitalizzare i Mott The Hoople (a cui cede “All The Young Dudes”) e resuscitare persino Lou Reed, al punto da farlo sembrare una specie di cugino americano. “Diamond Dogs” del 1974,  invece, malgrado il singolo “Rebel Rebel” comincia a mostrare a tratti il fiatone e uno strano interesse verso la musica americana del momento.
In effetti Bowie non ama ripetersi e “Young Americans” si dà al funky, trascinando nell'avventura persino John Lennon, co-autore di “Fame” e responsabile di “Across The Universe”, riproposta per l'occasione. Una sintesi ancor più interessante tra l'anima bianca e quella nera di Bowie si ha sul successivo “Station To Station”. E' il periodo del “duca bianco”, altro personaggio creato dal nostro e menzionato nel lungo pezzo omonimo che apre l'album.
Ma David Bowie, abbiamo detto, è personaggio inquieto, e il 1977 è l'anno del punk, non si può certo correre il rischio di passare per artisti superati dagli eventi. I rumours dicono che stia lavorando ad un album sperimentale dal titolo programmatico “New Music:Day And Night”. L'album, uscito poi col titolo “Low”, si divide in due facciate diversissime tra loro. Nella prima un rock al passo con i tempi, ma sufficientemente canonico, nella seconda quattro pezzi sperimentali, quasi del tutto strumentali e nei quali si nota la longa mano del co-produttore Brian Eno. Tutto molto bello avrebbe detto Bruno Pizzul.
Saranno ancora due gli album registrati a Berlino con Eno, “Heroes”, con l'omonimo pezzo impreziosito dalla chitarra di Robert Fripp, e il meno convincente “Lodger”. La fine degli anni settanta vede Bowie tirare le somme con l'interessante “Scary Monsters”. Poi l'ennesimo cambio di rotta, un Bowie in versione anni ottanta ci invita a ballare con “Let's Dance” (al cui interno c'è una riuscita cover di “China Girl” di un altro musicista da lui miracolato, Iggy Pop). Gli anni ottanta sono quelli delle collaborazioni: Mick Jagger, Pat Metheny, Tina Turner, Freddie Mercury... i duetti si sprecano. La qualità degli album comincia a declinare e per la prima volta Bowie sembra quasi inseguire le mode, piuttosto che anticiparle. In quel periodo anche la partecipazione a due album dei Tin Machine, di cui, volente o nolente, Bowie diventa l'attrazione principale. Ma il periodo d'oro sembra ormai alle spalle.
La risalita è lunga e faticosa, gli ultimi sussulti sono l'album concept “1.Outside”, e il quasi-house “Earthling”. Poi tre album piuttosto ravvicinati con un rock di routine e alterna ispirazione, prima di una pausa lunga dieci anni, in cui l'ex-duca bianco deve combattere anche con dei seri problemi di salute.
Proprio mentre tutti pensavano si fosse ritirato, l'8 gennaio del 2013 compare improvvisamente il suo nuovo singolo, che anticipa un album registrato in gran segreto e intitolato “The Next Day”. Musicalmente niente di nuovo, le novità si spostano sul marketing, sulla copertina, e sul modo sapiente di creare attesa (se questa può dirsi una novità). E allora volenti o nolenti, siamo ancora qui a parlare di lui, eterno David Bowie...

  • 3 album da avere: Hunky Dory, The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars, Low.
  • 1 album da evitare: Never Let Me Down.

CHINA GIRL
(David Bowie)



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