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14 luglio 2015

Dal vostro inviato speciale: Paul McCartney a Stoccolma

di Dario Cordovana



Il 9 luglio, essendomi trovato con qualche giorno libero a disposizione, ho deciso di andare a Stoccolma per vedere un concerto di Paul McCartney (tutto falso! L’evento l’avevo prenotato a marzo, se no era una parola trovare i biglietti …). Il buon Paul ormai settantatreenne sarebbe stato all’altezza delle mie aspettative? Si vociferava di un concerto anche piuttosto lungo, quindi qualche perplessità c’era.
Il concerto era previsto per le 19.30 alla Tele 2 Arena, un complesso piuttosto capiente costruito di recente, e che all’orario previsto era già abbondantemente gremito. Prima del piatto forte rappresentato dall’ingresso di Paul e della sua affiatatissima band che lo segue da anni, una mezz’oretta di introduzione a base di foto d’epoca della vita del nostro accompagnate da una spruzzata di brani della sua carriera mixati ad arte.
L’inizio vero e proprio, alle 20.15, con “Eight Days A Week” veniva accolto con un ovvio entusiasmo. Dopo la nuova, eccellente “Save Us”, uno dei tanti tuffi nel passato con “Got To Get You Into My Life”  e “One After 909”, inframmezzati da gustosi siparietti nei quali Paul si produceva alla meno peggio, ma orgogliosamente, nella produzione di frasi in svedese dall’improbabile pronuncia (questo almeno a giudicare dalle facce divertite dei nostri vicini di posto).
Dopo un’energetica “Let Me Roll It” (seguita come di consueto dal breve omaggio strumentale a Jimi Hendrix, “Purple Haze”), il concerto proseguiva senza cedimenti tra brani più aggressivi ed altri più pacati, inaugurati dalla recente “My Valentine”, al piano. Tra ripescaggi inattesi (almeno da me che insisto nel non guardare in anticipo le scalette dei concerti precedenti per potere stupirmi durante l’evento), come “Another Day”, “Lovely Rita”, la sempre splendida “Maybe I’m Amazed”, “Nineteen Hundred And Eighty-Five”, “All Together Now”, c’è spazio persino per “Being For The Benefit Of Mr. Kite”, un brano considerato di John, ma che Paul ha rivelato essere stato in realtà composto a quattro mani.
Il concerto è stato complessivamente un tuffo nel passato dei Beatles innanzitutto, ma anche del primo McCartney solista e dei primi Wings, rappresentati fino al 1973 di “Band On The Run”. Relativamente più recente, ma coraggiosa, la riproposizione di “Temporary Secretary” da “McCartney II” del 1980, e andando un po’ più avanti nel tempo troviamo un brano del 1982, “Here Today”, consueto omaggio a John Lennon. L’altro Beatle George Harrison viene a sua volta omaggiato con una “Something” che parte scherzosamente con uno ukulele per poi aprirsi con un arrangiamento che coinvolge l’intera band. E Ringo? Paul non si scorda che due giorni prima era stato il suo compleanno e gli dedica “Birthday” tra i bis.
I brani nuovi (cioè posteriori al 1982!), sono stati solo 5: la citata “My Valentine”, tre estratti dall’album “New” (“Save Us”, il pezzo omonimo e “Queenie Eye”) e “Hope For The Future”, brano che Paul ha composto per il videogame “Destiny”. Forse un po’ poco, ma abbastanza per ricordare che si tratta di un artista tuttora in attività e in grado di scrivere ancora delle belle canzoni.
Ma buona parte dei presenti si aspettava i classici e quelli non sono mancati: magari non avrà suonato “Michelle” come a Marsiglia (guarda caso …), ma “Eleanor Rigby”, “The Long And Winding Road”, “Let It Be”, “Live And Let Die” (la cui esplosione finale, un po’ troppo ad alto volume ha forse scherzosamente infastidito lo stesso Paul), “Hey Jude”  c’erano tutte. Con quest’ultimo classico si è chiuso il concerto, ma Paul e i suoi non si sono fatti attendere e hanno dato il via a una prima serie di bis: “Another Girl” (dal film “Help!”), “Birthday” e “Can’t Buy Me Love”, poi, richiamati di nuovo a gran voce, il solo Paul esegue la magica “Yesterday”. Sembra finita ma non lo è: alla domanda “Do You Wanna Rock?”, parte “Helter Skelter” (che coraggio piazzarla a fine concerto!) e per finire il trittico che chiude “Abbey Road”, l’ultimo album registrato dai Beatles: “Golden Slumbers/Carry That Weight/The End” chiudono un concerto lungo 2 ore e 45 minuti, per un totale di 40 brani. Con Paul che non dà segni di affaticamento la gente vorrebbe continuasse ancora, ma è ormai tempo di dirigersi verso il merchandising per acquistare magliette, programmi e quant’altro e poi tornare a casa, ognuno con la sua canzone preferita in testa.

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