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15 febbraio 2016

SANREMO 2016: CONTI ALLA MANO

di Dario Cordovana


Quest’anno Sanremo ci ha proprio spiazzato: alzi la mano chi, alla presentazione del cast di cantanti, sarebbe stato in grado di prevedere una vittoria degli Stadio. Una cosa che ai conoscitori più navigati del Festival avrà fatto venire in mente il detto sacro: “Gli ultimi saranno i primi”. Proprio gli Stadio avevano infatti collezionato ben due ultimi posti negli anni ottanta. La loro “Un giorno mi dirai”, lettera di un padre alla figlia, è stata cantata con molta grinta da Gaetano Curreri, con una voce roca ed espressiva. La stessa interpretazione intensa è stata la fortuna della loro vittoria anche nella serata delle cover con “La sera dei miracoli” di Lucio Dalla. Sono stati criticati per aver interagito con la voce registrata dell’autore: noi ci limitiamo ad apprezzare la scelta non banale della canzone.

E’ stato un Festival che ha visto infiltrarsi in mezzo ai giovani (quasi tutti provenienti dai talent), un manipolo di vecchi guerrieri, che negli ultimi tempi, se riuscivano a compiere il miracolo dell’entrata in finale, dovevano accontentarsi dei gradini più bassi della graduatoria. Quest’anno c’è stata gloria anche per Enrico Ruggeri (quarto con “Il primo amore non si scorda mai”, invero non indimenticabile, ma gradevole), per Patty Pravo con “Cieli immensi” (massacrata in modo vergognoso dalle critiche – in Francia onorano i loro miti, noi non ne siamo capaci), una canzone bella e ben interpretata, mentre Elio e le storie tese hanno diviso il pubblico tra sostenitori (che hanno capito che la loro “Vincere l’odio “ era in realtà una parodia di 5 o 6 canzoni brutte ideali dei Festival del passato) e detrattori (che sono rimasti spiazzati dall’eccessiva varietà del pezzo, non riuscendo a coglierne il filo conduttore).

Purtroppo il livello medio generale delle canzoni presentate ancora una volta giustificava poco l’allargamento del numero dei partecipanti della sezione Campioni da 18 (com’erano in un primo momento) a 20. E il consueto gioco di rimandi era quest’anno ancora più accentuato, fin dalla canzone vincente (un mix tra “Il mare d’inverno” e “Il mio canto libero” con un finale preso dagli U2). “Il giudizio universale” di Annalisa (una cantante che è sembrata maturata rispetto allo scorso anno) prendeva le mosse da “Sei bellissima” di Loredana Berté”, il simpatico guaglione Rocco Hunt con la sua “Wake Up” faceva venire alla mente la vecchia “No East No West” di Scialpi e così continuando.

Anche dal punto della personalità ci sarebbe molto da eccepire: la seconda classificata Francesca Michielin ha ricordato molto Elisa (a voler essere buoni) e la Laura Pausini degli esordi (a voler essere molto cattivi). Neffa sembrava Celentano ma, al di là di qualche trovata strumentale curiosa come l’uso del clavicembalo, la sua canzone ha procurato non pochi sbadigli mancando l’accesso alla finale. Stessa sorte per gli Zero assoluto (una “Di te o di me” non proprio memorabile), i Dear Jack col nuovo cantante detto “il nero che canta come un bianco” (non certo un complimento) e i Bluvertigo alla cui bella canzone “Semplicemente” non ha giovato affatto l’afonia del cantante Morgan Castoldi. Ripescata Irene Fornaciari, ma il suo ultimo posto in finale fa chiaramente capire che il pubblico ha pensato di lei che fosse soltanto la meno peggio del lotto.

Ci si aspettava di più in termini di classifica da Dolcenera, in veste soul (a proposito: ennesimo rimando la “(You Male Me Feel Like a) Natural Woman” di Aretha Franklin), mentre Alessio Bernabei ha presentato un pezzo house che non lo era fino in fondo, “Noi siamo infinito”. Una che potrebbe diventare brava è Noemi che con “La borsa di una donna” ha privilegiato la scelta di un repertorio non troppo scontato. Cosa che invece non ha fatto Arisa, che forse guardava più che il cielo un facile bis della banale ma fortunata “Controvento” di un paio di anni fa.

Tra le molte canzoni costruite per tentare il colpaccio si è segnalata “Via di qua”, ennesimo duetto romantico (o vietato ai diabetici se preferite) a cura di Giovanni Caccamo e Deborah Iurato, terzi e interpreti credibili. Più indietro Lorenzo Fragola che deve crescere ancora in personalità (modello di riferimento attuale: Marco Mengoni), mentre l’ex-vincitore Valerio Scanu ha presentato un brano che almeno ha mantenuto le premesse meteorologiche: “Finalmente piove”. Ha suscitato simpatia il rapper Clementino, all’esordio sanremese e settimo in classifica con “Quando sono lontano”, anche se come molti del suo genere, l’unica cosa che non sa fare è cantare.

Infine i giovani: sono stati la lieta sorpresa del Festival. Niente di sconvolgente, sia chiaro, ma finalmente un pugno di discrete canzoni cantate con gusto, tra le quali si sono segnalate la vittoriosa “Amen” di Francesco Gabbani, l’ancor più cantabile “Odio le favole” di Ermal Meta e la simpatica “Introverso” della contorsionista Chiara Dello Iacovo. Non ha raggiunto la finale, tra gli altri, l’italo-australiano Michael Leonardi, prodotto da Caterina Caselli, dotato di una notevole potenza vocale al servizio di un timbro di voce non proprio gradevole. Solo il tempo ci dirà se qualcuno di questi promettenti giovani riuscirà ad emergere nel difficile panorama della musica leggera italiana.

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