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10 febbraio 2019

Sanremo 2019: qualcosa da dire

di Dario Cordovana


Fiumi di parole nell’edizione 2019 e sull’edizione 2019 del Festival di Sanremo, il secondo di marca Baglioni. I cantanti ci hanno sommerso di brani recitati, rappati e  trappati. Se continuerà questa tendenza nei prossimi anni il settimanale “Tv Sorrisi e Canzoni” che da anni pubblica i testi dei pezzi in gara si vedrà costretto ad aumentare il numero delle pagine del giornale.
Si è anche parlato molto di questo Festival e del cast di cantanti selezionati dal Claudio dai capelli bianchi (per distinguerlo dal Claudio pelato che era Bisio). Intanto il numero, ben 24, che non è record (nel 1988 ad esempio furono 28, tutti in una sera, ma erano i tempi di Baudo). Poi la voglia, finalmente oserei dire, di svecchiare il Festival, ma senza eccessivi traumi, per cui si è ancora trovato posto per Francesco Renga, Arisa, Paola Turci, Simone Cristicchi, Nek, Anna Tatangelo (sigh…) e per cavalli di razza come Patty Pravo, Loredana Berté e Nino D’Angelo. Una strizzatina d’occhio alla canzone d’autore con Daniele Silvestri (che per altro non si è discostato dai fiumi di parole nella sua intensa e claustrofobica “Argentovivo”), una strizzatina ai nonni, ma anche agli adolescenti con il Volo (doppio sigh!) e per quanto riguarda i teenager più di bocca buona con il duetto tra Federica Carta e Shade (sigghissimo!).
Per il resto spazio a tanti cantanti che sembrano nuovi, ma che in realtà sono in giro da diverso tempo. Solo che il grosso pubblico non li conosce. E’ il caso degli Zen Circus (con l’incalzante “L’amore è una dittatura”), di Motta (che ha giustamente vinto la serata dei duetti in coppia con Nada con la sua “Dov’è l’Italia”), degli Ex-Otago, di Ghemon, di Achille Lauro (una specie di Vasco Rossi degli inizi ma aggiornato al 2019), dei BoomDaBash (che hanno provato con un certo successo a lanciare il loro possibile tormentone “Per un milione”). Tra i ritorni al Festival quello dei Negrita che mancavano dal 2002 e di Irama ed Enrico Nigiotti che avevano già partecipato nel girone giovani, che quest’anno non ha fatto parte del programma delle cinque serate del Festival, ma si è svolto in versione allargata un paio di mesi prima dell’evento. In quelle due serate, presentate dal duo Baudo-Rovazzi, sono state selezionate due voci da portare al Festival. E se il possibile nuovo idolo delle adolescenti Einar, ha sprecato la sua chance con una canzone banalissima e inutilmente ossessiva, meritandosi il penultimo posto, Mahmood, anche lui non esordiente al Festival, lo ha addirittura vinto tra la sorpresa generale con la canzone “Soldi”. Alzi la mano chi avrebbe puntato una fiche su di lui, con una concorrenza di possibili vincitori come non si vedeva da tempo (Il Volo, Ultimo, Cristicchi, Renga, Berté, Irama). Naturalmente, come spesso capita con i personaggi troppo nuovi (Gabbani docet!), c’è voluta la combinazione di voti della sala stampa e della giuria di qualità per sovvertire un verdetto del televoto che avrebbe visto ai primi due posti Ultimo e Il Volo, ma la vittoria di Mahmood in fondo rappresenta bene questo Festival del rinnovamento.
Un’altra cosa che si ricorderà di questo Festival, e che in fondo è specchio dei tempi che viviamo, dove tutti si sentono in dovere di dire la loro, è la voglia di protagonismo del pubblico in sala, che ha tributato diverse standing ovation (o diverse station wagon come direbbe Nino Frassica), in particolare a Loredana Berté (meritatamente quarta con “Cosa ti aspetti da me”, un brano che mette in luce le sue qualità di interprete grintosa e che il duetto con la pur brava Irene Grandi non è riuscito a migliorare, tanto sembrava cucito addosso a Loredana) e a Ultimo (secondo con “I tuoi particolari”, bella strofa e ritornello mediocre). Il pubblico pare abbia contestato la vittoria di Motta e Nada nella serata dei duetti, ma si è scatenato quando è stata letta la classifica dal ventiquattresimo al quarto posto, probabilmente contestando la mancata presenza della Berté o di qualche altro cantante al posto del Volo. Siamo solidali con questo pubblico in quanto i tre ragazzotti rappresentano un modo superficiale di vedere la musica, secondo il quale basta avere la voce impostata per poter cantare qualsiasi cosa. La sublimazione di questo concetto è stato nella serata dei duetti quando i tre si sono portati dietro il violinista virtuoso Alessandro Quarta per buttare un bel po’ di fumo negli occhi, ma senza che il suo intervento servisse ad arricchire il brano “Musica che resta” da loro presentato.
Adesso la parola passerà al pubblico che queste canzoni le ascolta, le scarica, le compra, le canta (o le declama). Noi aspettiamo l’anno prossimo con fiducia, sperando che chiunque ci sia alla conduzione e alla selezione degli artisti in gara (meglio se un cantante competente come Claudio Baglioni), non interrompa questo processo di rinnovamento. Con buona pace di Iva Zanizzhi che da anni prova a portare una canzone al Festival e di tanti altri della sua generazione, il Festival deve essere dei giovani.

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