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23 maggio 2008

23 maggio 1992

di Enrico Nunnari



Ricordo che quella sera di sedici anni fa mi legai il giubbino più stretto. Era Maggio, ma c’era stranamente un aria fredda in giro. Ero piccolo, ma lo leggevo negli occhi della gente che camminava. Chiedevo a mia mamma ma mi rispondeva come si fa a chi è troppo piccino per capire. Ma avevo capito. Nel mio piccolo avevo capito che se n’era andata qualcosa da Palermo. Se n’era andato qualcuno dal cuore dei palermitani.
I giorni seguenti ricordo la miriade di striscioni appesi per la scuole. Tutti che urlavano rabbia al cielo, bagnati dalle lacrime e inneggianti un solo nome. E’ li che realizzai cosa è la mafia. Un’ombra oscura, che ovunque andremo ci seguirà maligna e terrificante. E capii che mi faceva schifo. Lo urlai al cielo perché ho sempre creduto che se di una cosa ti vergogni ma non puoi evitarla, serve a poco nasconderla. Quell’uomo su quell’ombra ci camminò sopra sprezzante come pochi ebbero coraggio di fare. Ma quell’ombra oscura, quel 23 Maggio del 1992, lo fece saltare in aria con una carica di 500 chili di tritolo.
Anni dopo rabbrividii quando mi dissero che mio padre, atterrato con un volo quel giorno, in parallelo con quell’uomo, mancò l’appuntamento col tritolo per pochi minuti, avendo perso tempo bevendo un caffè all’aeroporto. E riecheggia nella mia mente quella sensazione immortale nel risentire quel botto mostruoso che ci sconquassa le coscienze. In quanti avremmo avuto il coraggio di fare quello che fece lui? Di urlare che la mafia fa schifo non da dietro una tastiera ma dall’alto di una montagna dove c’è il rischio di cadere?
Quell’uomo non ci ha mai giudicato, ma gli piaceva parafrasare J.F. Kennedy nel dire che “Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana.” Quel pomeriggio di sedici anni fa, la mafia riuscì ad uccidere un uomo. Ma non riuscì minimamente a scalfirne il nome. Giovanni Falcone vive accanto a noi.

In memoria di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Di Cillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro.

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23 maggio 1992
 

 

A me la notizia non mi colpì come un fulmine a ciel sereno. Era qualcosa che prima o poi DOVEVA capitare.Lo stesso Falcone troppe volte lo aveva detto.E lui, pensavo io, difficilmente parlava a caso.La sua mente aveva già esaminato tutte le variabili e anticipato la conclusione, con un sorriso amaro.Diceva spesso di non volere figli per non lasciare orfani.Ma la cosa che ricordo con più angoscia è la normalità di quel sabato sera. Pizzerie piene, gente che rideva, traffico caotico. Almeno questa è l'impressione che ebbi allora. Forse molti palermitani non avevano capito quanto quel tragico fatto li toccasse da vicino.

Mingo

23/05/2008 23:00:19


Io avevo 20 anni. Mi affacciavo all'impegno politico con entusiasmo, l'entusiasmo di chi vuole cambiare le cose. La notizia della strage non mi sembrò reale, come mi era già capitato per la morte di un amico, qualche mese prima. Come allora avevo avuto bisogno di vedere il necrologio per capire che era vero, per capire cosa significava la morte di Falcone mi ci vollero i funerali degli agenti di scorta, il discorso della vedova di Vito Schifani. Torno ora dalla manifestazione in ricordo di quei morti. C'erano tanti ragazzi, e allegria.

Daniela

23/05/2008 19:26:31


 
 

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