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9 settembre 2014

India, magica eppure illusionista

di Fra' Domenico Spatola


Strade senza fine nei meandri inestricabili di arterie a reticolo, affollate e rumorose da clacson a strombazzare per ovviare, all’ultimo momento, ostacoli con patema d’animo dei passeggeri e acclarata stupefacente bravura dei piloti alla guida dei più eterogenei mezzi di locomozione.
E’ l’India “magica” osservata a primo impatto nella precarietà che la contraddistingue come vita costantemente strappata a morte o forse è l’umana sorte, qui giocata nell’avventura a rincorsa delle “rinascite”, immaginate e auspicate migliori di un presente dove la fatica prevale in ogni esistenza, svelantesi “campionario di miseria e sofferenza” eppure fiera dei racconti mitici d’improbabili ancestrali combattimenti fra le divinità molteplici(fino a trentatremila), che si alleano per “creare”, per “conservare” e per “distruggere”, mentre gli uomini, loro creature spettatrici inermi e paralizzate da siffatta “cosmogonia”, a raccontare storie “catalizzate” dai prototipi irriformabili.
Le “caste” necessarie alle società organizzate a feudalesimo, cristallizzando il sistema di un passato lontano e immaginato insuperabile perché glorioso, condizionano le vite di quanti invocano pace eterna dal grande fiume, il Gange sacro, che purifica, spezzando le catene delle rinascite e promettendo, nell’eterno ritorno, destini in condizioni migliori.
Eppure è l’India della tecnologia avanzata e della bomba atomica, proterva a competere con il “fratello” Pakistan, odiato per rivendicazioni religiose e territoriali. Madre del miliardo e trecentomilioni di suoi figli in un territorio vasto e non tutto ospitale per clima e conformazione orografica, nutre ancora rivendicazioni religiose da conflitto parossistico,come quello degenerato, nel non lontano 1948, nell’assassinio del più grande “pacifista” che la Storia recente ha conosciuto: il“Mahatma” Gandhi.
Per il turista occasionale, l’India rappresenta l’illusione del tuffo in un passato che la cultura dei Paesi occidentalizzati ha obliterato, e rinnova ricordi di pregressi, che si immaginavano superati. Emozioni diversificate dunque a trecentosessanta gradi per gli usi, per le abitudini, e soprattutto per le aspettative di vita distanti “anni luce” da quelle professate in Occidente. Incantano la natura lussureggiante, in molte zone ancora incontaminate, e la convinzione che il “sacro” sia sempre nascosto nel “maja”, il “velo” delle cose in costante procinto di “svelarsi”, sì che la promiscuità, tra uomini e animali d’ogni genere, non fa problema di titolarità sulle strade, come in uno “zoo permanente” e senza rivendicazioni d’igiene, e con riverenziale timore di una potenziale “incarnazione divina” nella vacca, nel cinghiale, nella tartaruga, nella scimmia...
E’ l’ermeneutica, inoculata nelle coscienze, atavicamente atteggiate a contiguità cosmica da meditazioni, per gli eletti, estenuanti e con sforzi ascetici incuranti della vita terrena e solo protese a “riunire” il proprio “Sé” con quello “Eterno”.
Ideale espresso anche dall’architettura dei templi induisti, alti e in cima alle scalinate ripide e in tensione di uniformare i devoti al “divino” superiore. E le nenie a “mantra” che vi si ascoltano a lamento, come gli incensi che vi si respirano, rendono ognuno più partecipe del “karma” divino, come possibilità estrema alla “buona uscita” dalla vita.
Tutto corrisponde a richieste di Cielo, per l’inquietudine dell’esistenza percepita a sofferenza e con gli interrogativi inevasi sul dolore e sulla morte.
Qui la vita si sperimenta effimera e “non preziosa di unicità”, rassegnata a non rivendicazione anche di pur legittima pretesa di sopravvivenza. Tutto appare scomposto come “puzzle”. Mattoni, disordinati per l’occhio non “iniziato”, da ricomporre e riorganizzare in un disegno di indecifrabile interpretazione, come la vita e ciascuna esistenza con i suoi “perché?”.

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