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3 febbraio 2011

Storia semiseria e disordinata della canzone italiana - Sanremo 1970: Prima serata

di Dario Cordovana



Dopo tre anni di ottima qualità Sanremo nel 1970 accusa una flessione nella qualità delle composizioni. Anche se qualche motivo interessante c’è (la crisi vera e propria è ancora di là da venire). Le canzoni sono 26, divise in 13 per serata, ancora una volta con la doppia esecuzione. Si ascoltano tre pezzi alla volta che poi vengono ripetuti.
Apre la prima terna “Occhi a mandorla”, una canzone tutt’altro che memorabile e che somiglia a mille altre… “Aveva gli occhi a mandorla/degli occhi color blu/ed io l’ho fatta piangere/perché io non so più”…versi uditi mille volte già negli anni cinquanta e non siamo neanche alla fine (l’hanno dopo ci sarà “Occhi bianchi e neri” , dello stesso tipo). Ad essere eliminati, senza rimpianti, sono Rossano e Dori Ghezzi. Dopo di loro un’altra canzone mediocre, non ammessa in finale: “Serenata” cantata da Tony Del Monaco e da un sempre più disorientato Claudio Villa. Chiude la prima terna “L’addio”, un valzer affidato a Michele e all’esordiente Lucia Rizzi. Niente finale anche per loro.
La prima serata stenta decisamente a decollare: neanche la prima canzone della seconda terna ha fortuna. Si tratta de “La stagione di un fiore” eseguita da i Gens e da una Emiliana come Lucia Rizzi anche lei all’esordio. Il brano si basa su un’azzeccata melodia del ritornello ripetuta però fino all’inverosimile. Arriva però uno dei favoriti: si parla molto bene de “La spada nel cuore”, un brano costruito in modo moderno, con il ritornello che apre la canzone e le strofe musicalmente molto diverse tra loro, come Battisti aveva insegnato in alcune recenti canzoni. E in effetti anche se il pezzo è di Mogol-Donida, il ritrovamento del provino di Lucio Battisti ha fatto pensare che, se pure non ha scritto il brano, il cantautore reatino deve aver seguito “La spada nel cuore” da vicino. Al Festival la propongono due nomi molto affermati: Patty Pravo e Little Tony. Per la prima è un’occasione di rilancio dopo una Canzonissima poco esaltante, per il secondo la chance di ripetere il boom di “Cuore matto”. Insomma sono molte le aspettative, ma “La spada nel cuore” si ferma a metà strada: dopo aver vinto la prima serata, in finale arriva soltanto quinta. Malgrado ciò non viene dimenticata. La seconda terna si conclude con il ritorno al Festival (molto poco fortunato) di Renato Rascel che aveva vinto dieci anni prima con “Romantica”. Ma i tempi sono cambiati: malgrado l’appoggio di Celentano (della sua scuderia fa parte Pio che esegue per la seconda volta il pezzo), “Nevicava a Roma” arriva ultima.
La terza terna arriva tutta in finale, ma la qualità continua ad essere per lo meno altalenante. “Tipitipitì” è una sciocchezza che tutti rammentano (“E c’era l’uomo dell’organino che mi dava un biglietto blu/C’era scritto “Ti vuole bene” ma non era la verità-à”) che insieme ad Orietta Berti (che allora di canzoni così sceme ne cantava parecchie) trascina nel fango Mario Tessuto (che si gioca così quel poco di credibilità rimasta dopo il successo di “Lisa dagli occhi blu”). Fortunatamente la successiva “Eternità” è di ben altro livello. Una delle migliori esecuzioni dei Camaleonti è, nella versione di Ornella Vanoni, anche meglio. Non era solito a quei tempi iniziare una canzone con l’immagine di una donna a letto soddisfatta dopo aver fatto l’amore con il suo uomo. La melodia poi, raffinatissima nella strofa, prorompe nel ritornello in modo da farsi ricordare. Quarto posto nella serata finale per una canzone che probabilmente meritava di più. Chiude la terna “Taxi”, motivo retrò affidato ad Antoine (che ne approfitta per dare fondo alle sue capacità istrioniche) e Anna Identici.
Si chiude con una quaterna: apre la controversa “Chi non lavora non fa l’amore” proposta da Adriano Celentano, che stavolta come partner ha giustamente (dato il tema del pezzo) la moglie Claudia Mori. Per chi non la ricordasse diremo che tratta il tema degli scioperi di protesta, ma non mettendosi dalla parte degli operai. Le mogli di questi, come se gli operai facessero lo sciopero solo per fare vacanza, si lamentano che non riescono ad arrivare più alla fine del mese e per ritorsione mettono in pratica – novelle Lisistrata – uno sciopero dell’amore. Se il marito non dà loro i soldi dello stipendio, loro l’amore non lo fanno…non so come si chiami ‘sta roba al paese vostro ma… Per lanciare meglio il pezzo Celentano le prova tutte: scorda l’attacco, ricomincia, si riferma, riparte…alla fine riesce a stare sul palco più di tutti. Incredibilmente riesce anche a vincere il Festival!
“Canzone blu” è invece un motivo sudamericaneggiante nello stile disimpegnato di Tony Renis e portata in finale dal suo autore e da Sergio Leonardi. Segue “Romantico blues” che è a tutti gli effetti…un valzer. D’altra parte ce la vedete Gigliola Cinquetti a cantare un blues? Il motivo è inoffensivo, ma gradevole e porta in finale, oltre alla brava cantante veronese, anche Bobby Solo.
La prima serata viene conclusa da uno strano pezzo di Pino Donaggio, “Che effetto mi fa”. Strano per Donaggio a dire la verità. E’ un pezzo piuttosto vivace e allegro e riporta in Italia Sandie Shaw, la cantante scalza. Per una sola serata però in quanto il brano risulta il primo degli esclusi…  


L'ETERNITA' (Ornella Vanoni)


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La canzone di Celentano proponeva senz'altro il messaggio qualunquista che hai evidenziato, ma il cantautore, con la sua tipica furbizia, ne suggeriva anche un significato ironico, per cui poteva essere veicolato anche come critica della mentalità della "maggioranza silenziosa". Così veniva certo intesa nei cortei sindacali, in cui non di rado la sentivo accennare, o anche proprio cantare, allegramente da parte degli operai. Non credo invece piacesse alle lavoratrici.

Sandro

04/02/2011 09:58:00


 
 

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