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21 febbraio 2011

Sanremo 2011, the day after

di Dario Cordovana



Diciamoci la verità…l’abbiamo scampata bella. Ormai erano tutti convinti che per la terza volta di seguito avrebbe vinto Sanremo Maria De Filippi (che quest’anno per la prima volta aveva sembianze femminili e si faceva chiamare Emma), che per riuscire nell’impresa si faceva accompagnare da uno dei gruppi più amati dai giovanissimi, i Modà… tutto pronto per il televoto finale… e invece il professor Roberto Vecchioni ha rovinato la festa già pronta e ha fatto vincere la sua canzone piena di speranza, “Chiamami ancora amore”.
Vecchioni era alla sua seconda partecipazione al Festival, e, siccome scemo non è, si è guardato bene di presentare un pezzo in linea con la sua solita produzione. Se “L’uomo che si gioca il cielo a dadi”, da lui presentata nel lontano 1973, sembrava pescata nel repertorio di Modugno, questa sua pur bella ultima creazione si muoveva in territori musicalmente non troppo distanti dal miglior Toto Cutugno. Quasi quasi si aveva voglia di sentirne la versione di Ray Charles, se non fosse che il genius è purtroppo ormai morto da un pezzo.
Al terzo posto, spinto a grandi folate dal televoto (un sistema di votazioni che continua a stupire per le sue numerose falle, ormai anche annunciate in anteprima per mettere le mani avanti, ma che non si riesce ad avere il coraggio di abbandonare), un Al Bano ancora straordinariamente in gran forma dal punto di vista vocale (è lui l’erede di Claudio Villa!), ma con una canzone che sì, sceglieva l’impegno, ma che dal punto di vista musicale non era particolarmente originale ed anzi orecchiava antiche melodie (io ci ho sentito echi di “Theme one” dei Van Der Graaf Generator!).
Probabilmente la più bella canzone del Festival, un Festival musicalmente parlando, di livello superiore rispetto alle due precedenti edizioni targate Bonolis e Clerici, ce l’aveva Patty Pravo, ma la leggendaria Nicoletta non può pretendere di salvarsi sempre con la sua immensa classe. Martedì ha cantato decisamente male, mostrando di non riuscire a controllare quella poca voce che le è rimasta, mercoledì si è ripresa, ma non del tutto, e a questo punto probabilmente il pubblico aveva  perso la pazienza e “Il vento e le rose” non è arrivata in finale. Con la Patty Pravo di vent’anni fa certo non sarebbe successo.
Altra eliminazione pesante da digerire quella di Anna Oxa che fatica a riconquistare i favori del pubblico dopo il suicidio commerciale della splendida ma difficilissima “Processo a me stessa” di qualche anno fa. In suo luogo il pubblico, tramite televoto, ha preferito ripescare la Tatangelo che ha sicuramente presentato la sua canzone migliore da quando viene al Festival… ma ciò non vuol dire che non facesse schifo.
Gli altri due che si sono fermati prima della finale, Max Pezzali (con un pezzo sullo stile dei Righeira, quindi modernissimo) e Tricarico (“Tre colori”, una canzone dotata di una certa grazia), non hanno fatto molto scalpore, quanto l’arrivo in finale di alcuni outsider che, prima di ascoltare le canzoni, qualcuno aveva già visto in anticipo fuori dalla finale. E invece sia Davide Van De Sfroos (pur penalizzato da un testo in laghese, in un paese dove al testo si dà molta importanza), sia Mauro Ermanno Giovanardi, o se preferite La Crus (nome di comodo riutilizzato a tre anni dallo scioglimento del gruppo) hanno rischiato addirittura di finire tra i primi tre. Del resto “Io confesso” dei La Crus è stata una delle canzoni più applaudite della kermesse sanremese e Giovanardi (con una voce che ricorda parecchio quella bellissima di Maurizio Arcieri) è sicuramente una realtà più convincenti della musica pop italiana.
Un altro talento che ne ha approfittato per farsi conoscere da un vasto pubblico è quello del siciliano Luca Madonia. L’ex-Denovo, accompagnato dal padrino d’eccezione Franco Battiato, ha praticamente riscritto la strofa di “Segnali di vita” dell’autore di “Bandiera bianca”, ma il risultato è stato comunque molto interessante.
Un po’ al di sotto delle attese è risultata la vincitrice di X Factor, Nathalie, dalla quale ci saremmo aspettati una canzone dalla maggiore personalità, mentre Giusy Ferreri ha fatto tutto sommato un discreto festival, se vogliamo dimenticare il grave massacro de “Il cielo in una stanza” nella serata dedicata alle canzoni storiche. Infine il duetto tra Luca Barbarossa e Raquel Del Rosario, simpatico e ben arrangiato, ma non memorabile.
Chi invece ha messo tutti d’accordo è stato il vincitore della categoria giovani, Raphael Gualazzi. Tanto evidente è sembrato il divario con il resto del gruppo che ci si sarebbe meravigliati a non assistere al suo trionfo. Che invece è stato totale, dato che sarà lui a rappresentare l’Italia all’Eurovision Song Contest a maggio. A proposito: l’Italia non partecipa a questa manifestazione dal 1997. Chissà se si ricordano ancora di noi…

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