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30 ottobre 2014

A SCUOLA DI ROCK 17 - THE BEATLES

di Dario Cordovana



Prima di loro l’America era al centro del mondo e l’Inghilterra, dopo aver perso le sue colonie, era avviata a diventare una nobile decaduta, come l’Austria dopo la prima guerra mondiale. I Beatles non potevano che venire da Liverpool, porto ricettivo a tutto quanto arrivava dagli Stati Uniti, dischi di rock’n’roll compresi. I ragazzi come John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Pete Best, erano tra i primi a conoscere le novità di quella musica così eccitante. Da lì a formare un gruppo (dapprima i Quarrymen, poi vari altri cambi di nome, da Johnny and The Moondogs, a Silver Beatles, fino ad arrivare a Beatles) in grado di eseguire quei successi il passo fu breve.
La vera novità era però la capacità di Lennon e McCartney di scriversi da soli i loro brani, cosa che all’epoca in Inghilterra praticamente nessuno faceva. I testi poi erano diretti, sinceri, e tutti gli adolescenti vi si potevano riconoscere. Cominciava così una lunga gavetta fatta di concerti a Liverpool (spesso al “Cavern”), in Gran Bretagna e persino in Germania, ad Amburgo.
Un giorno nel negozio di dischi di Brian Epstein, a Liverpool, qualcuno chiede il disco “My Bonnie”, inciso da un gruppo locale, tali Beatles. Epstein, che pure segue la musica, non li conosce e, incuriosito, va a vederli al Cavern. In loro vede delle potenzialità e, presentatosi al gruppo, si offre di diventare loro manager. I quattro accettano. Seguono provini per l’etichetta discografica Decca (che li boccia ritenendo conclusa dopo gli Shadows la parabola ascendente dei gruppi) e poi per la EMI, che invece li mette sotto contratto. La mente illuminata che ne riconosce il talento si chiama George Martin, che intravede però nel batterista il punto debole della formazione.
Sostituito Pete Best con il veterano Ringo Starr (proveniente dal gruppo di Rory Storm and The Hurricanes), i quattro entrano subito in classifica (al posto numero 17) col primo singolo della premiata coppia Lennon-McCartney, “Love Me Do”. Siamo ormai nel 1963 quando, col secondo singolo “Please Please Me” si comincia a parlare di Beatlemania. I capelli lunghi alla paggetto, le caratteristiche divise, lo humour sarcastico di Lennon, il fascino di McCartney, la tranquillità di Harrison e la finta ingenuità di Ringo Starr entusiasmano i maschi e fanno strage di cuori femminili. I successivi singoli “From Me To You” e “She Loves You” non fanno che consolidare questa enorme popolarità.
All’epoca del successivo “I Want To Hold Your Hand”, nel febbraio del 1964, i Beatles sbarcano in America, apparendo nel celebre “Ed Sullivan Show”. E’ un trionfo. Nel corso dell’anno le prime 5 posizioni della classifica dei singoli saranno appannaggio del gruppo di Liverpool, qualcosa che in America non si era mai visto. Persino il loro idolo Elvis Presley li incontra.
Nel frattempo però sono già usciti il primo LP (“Please Please Me”, registrato in sole 12 ore), e il secondo (“With The Beatles”), che presentano l’identica formula di affiancare alle premiate composizioni Lennon-McCartney (ma nel secondo album c’è già l’esordio di Harrison come compositore), alcune esecuzioni di classici di altri artisti. Formula che si interrompe nel successivo “A Hard Day’s Night” (in parte colonna sonora del loro primo film diretto da Richard Lester), per poi riprendere nei seguenti Beatles For Sale” e, per l’ultima volta, in “Help!” (secondo film con ancora Lester alla regia).
Siamo nel 1965 e i Beatles vengono convocati a Buckingham Palace per ricevere un’alta onorificenza (MBE, Members of The British Empire) dalla regina Elisabetta. Ormai tutto quello che è inglese fa trend grazie a loro e da ciò traggono beneficio altri settori (Mary Quant lancia la minigonna, la modella Twiggy è il simbolo della donna-grissino). Pure del 1965 è “Rubber Soul” in cui ci sono i primi segni dell’interesse verso la cultura indiana, di cui soprattutto George Harrison si fa promotore. Nel brano “Norwegian Wood” fa per la prima volta la sua comparsa un sitar. Nello stesso anno il culmine dell’attività live sarà rappresentata dal concerto allo Shea Stadium a New York, ma non può durare. I Beatles quando suonano dal vivo non riescono neanche a sentirsi, a causa delle urla isteriche delle teenagers. L’anno dopo, al Candlestick Park di San Francisco, suoneranno per l’ultima volta dal vivo (eccettuata una mezz’ora sul tetto della sede della Apple nel 1969).
D’altra parte era ben difficile riprodurre dal vivo i nuovi brani dell’album “Revolver”, molto sperimentali, con nastri al contrario, sitar ed effetti speciali. E’ l’epoca della psichedelia che viene incarnata ancor meglio nel successivo “Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, pubblicato nel 1967. Primo disco a pubblicare i testi all’interno della sua copertina apribile (anche questa una novità), con le tracce senza separazioni tra di loro, inizialmente viene visto come un album concept, ma non lo è. La storia del sergente Pepper si esaurisce subito e il resto dei pezzi vive di vita propria, con la conclusiva “A Day In The Life”, a lasciare tutti a bocca aperta. E’ ormai Paul McCartney a prendere le redini del gruppo, ancor più dopo l’improvvisa scomparsa del manager Brian Epstein in agosto. Lennon è in preda a una vera e propria crisi esistenziale da successo e ne uscirà a poco a poco grazie all’amore della sua nuova compagna, l’artista d’avanguardia giapponese Yoko Ono. Sarà dunque McCartney a proporre la successiva mossa, un film psichedelico intitolato “Magical Mystery Tour”. Proiettato in bianco e nero (!) a Natale del 1967 sulla BBC, si rivelerà un flop, ma non sarà così per le canzoni della colonna sonora.
Ma neanche un viaggio in India al seguito del Maharishi Mahesh Yogi riuscirà a tenere insieme i quattro pezzi del puzzle ormai lanciati in direzioni diverse. A fine 1968 il doppio “The Beatles”, meglio noto come “L’album bianco” per via della sua copertina, è un tripudio di creatività, ma fa emergere piuttosto nettamente le differenze tra i quattro, che alla fine delle lunghe session si ritrovano prosciugati. Avrebbero bisogno di una bella e lunga vacanza, invece fanno l’errore di tornare in studio dopo appena un mese per un nuovo progetto di McCartney. Un film, intitolato “Get Back”, li dovrebbe riprendere mentre provano, ma i rapporti sono tesi, i pezzi latitano e quello che viene filmato non è bello, né da vedere, né da sentire. Il progetto viene momentaneamente accantonato, Lennon va a sposarsi a Gibilterra con Yoko Ono e sembra sempre meno interessato alle sorti del gruppo. Intanto la Apple (etichetta fondata dai quattro con l’intento di lanciare nuovi talenti) imbarca debiti da tutte le parti e ciò contribuisce a rendere l’aria pesante.
Sarebbe un brutto finale però per i gloriosi Beatles, che decidono nell’estate del 1969 di chiudere in bellezza con un ultimo lavoro, “Abbey Road”. Nel primo lato compaiono sei pezzi, tra cui la più nota composizione di Harrison, “Something”, il secondo è chiuso invece da un medley di brevi pezzi non completati e collegati tra di loro. E’ l’ennesimo successo creativo e discografico, l’ultimo che li vede insieme. All’inizio di gennaio del 1970, 3 dei Beatles (manca Lennon) si rivedono in studio per ultimare “I Me Mine” di George. Poi i nastri di “Get Back”, ora diventato “Let It Be”, vengono affidati al produttore Phil Spector, col tentativo di ricavarne qualcosa. Non tutti saranno contenti del suo lavoro che prevede pesanti sovra incisioni orchestrali (McCartney lo odierà), ma “Let It Be” sarà comunque l’ultimo album del gruppo che alla sua uscita, è già ufficialmente sciolto. Iniziano le carriere soliste. Bye Bye Beatles…

3 dischi da avere: Rubber Soul, Revolver, The Beatles.

1 disco da avere per ultimo: Let It Be.


LOVE ME DO
(The Beatles)


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